“Siamo pervase dalla nostalgia per l’antica natura selvaggia. Pochi sono gli antidoti autorizzati a questo struggimento. Ci hanno insegnato a vergognarci di un simile desiderio. Ma l’ombra della Donna Selvaggia ancora si appiatta dentro di noi, nei nostri giorni, nelle nostre notti” (Clarissa Pinkola Estés)
Il libro; “Donne che ballano coi lupi”, da cui è tratta questa citazione è un insieme di narrazioni che presentano un femminile antico, archetipo e fiabesco ma che ci permette di capire la natura istintiva e salvifica della donna, riconosciuta da tutti i più grandi romanzieri occidentali. (Basti pensare alla Sonja, compagna di Raskolnikov in Delitto e Castigo). Le prime due narrazioni che la psicologa Clarissa Pinkola Estes presenta sono:
La Loba che è una vecchia la cui unica occupazione è la raccolta di ossa. La sua attenzione è in particolar modo per quelle ossa che rischiano di andare perdute per il mondo: di cervo, di corvo e ancor di più di lupo. Quando ha raccolto tutte le ossa e ricostruito un intero scheletro, allora inizia a cantare, e mentre lei canta sempre più forte, le ossa si ricoprono pian piano di pelo, l’animale comincia a respirare, prende vita e comincia a correre per il deserto finché non incontra un fiume, un raggio di sole o di luna, e allora il lupo si trasforma magicamente in una donna che ride.
Una ragazza qualunque, senza nome, a cui viene fermamente proibito di andare nel bosco, poiché lì può incontrare un lupo che la potrebbe mangiare. Lei disobbedisce a questo ordine e nel bosco incontra un lupo con una zampa impigliata in una trappola che le chiede di aiutarlo a liberarsi. La ragazza è intimorita e teme che, appena liberato, il lupo la uccida (perché in questo genere di storie – di solito – funziona così). La realtà, invece, la stupirà: non solo il lupo non le farà alcun male, come segno di riconoscenza le darà la possibilità di vedere chi le vuole veramente bene e chi finge…La donna selvaggia cioè è profondamente in contatto con il suo istinto.Dal report ‘Un anno di Codice Rosso reati spia e femminicidi’ realizzato dalla Direzione centrale della polizia criminale emerge che se il trend è in diminuzione per gli omicidi di donne nel 2019 (111) rispetto al 2018 (141), in linea con la diminuzione generale degli omicidi, una controtendenza si registra nei primi nove mesi del 2020 rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso con un aumento del 7,3% (88 donne uccise nel 2020 a fronte di 82 del 2019). Quanto ai provvedimenti amministrativi in materia di violenza di genere, nel periodo 1 gennaio-19 novembre 2020, i Questori hanno emanato 1.055 ammonimenti per stalking, 956 per violenza domestica e 352 provvedimenti di allontanamento d’urgenza dalla casa familiare. L’aumento dei casi di violenza domestica in Italia oltre al periodo di forte stress sociale determinato dal Covid potrebbe essere un indicatore dell’aumento delle denunce e del controllo, sono state attivate infatti procedure ospedaliere come il codice. Il Codice Rosa nasce nel 2010 nell’Azienda USL 9 di Grosseto come progetto pilota con la finalità di assicurare un più efficace coordinamento tra le diverse istituzioni e competenze per dare una risposta efficace già dall’arrivo della vittima di violenza in pronto soccorso. Il percorso opera in sinergia con Enti, Istituzioni ed in primis con la rete territoriale del Centri Antiviolenza, in linea con le direttive nazionali e internazionali. Ormai il codice Rosa si è diffuso a macchia d’olio. La violenza domestica è quasi sempre un insieme di aggressioni fisiche, psicologiche e sessuali a cui si accompagnano spesso le deprivazioni economiche. Non sono violenza solo le botte, le ferite o le ossa rotte, ma anche le ingiurie, gli insulti, i ricatti, la derisione, il prendere la donna per scema o per pazza, spesso in presenza dei figli terrorizzati, poi l’impedirle d’incontrare i propri amici o familiari e l’imposizione violenta dei rapporti sessuali. Le deprivazioni economiche vanno dal ridurre al minimo il denaro di cui può disporre, al controllo asfissiante sul suo uso, al prosciugamento del conto bancario, al coinvolgimento forzato in spericolate operazioni finanziarie, al mancato pagamento dell’assegno stabilito dal Giudice in sede di separazione legale. Molteplici fattori, complessi e interconnessi, di natura sia istituzionale che sociale o culturale, hanno mantenuto le donne in una posizione di particolare vulnerabilità alla violenza rivolta contro di esse. Tutti questi fattori sono il culmine dello sviluppo di rapporti di forza storicamente squilibrati tra i sessi: le forze socioeconomiche, l’istituzione della famiglia nella quale trovano espressione i rapporti di forza, la paura ed il desiderio di controllo della sessualità femminile, idea della inerente superiorità del maschio, e leggi e culture tradizionali che hanno sempre negato a donne e bambine uno stato giuridico e sociale di indipendenza. La mancanza di risorse economiche rafforza la vulnerabilità delle donne e la loro difficoltà di sottrarsi ad una relazione vessatoria. Tra la violenza, la mancanza di risorse economiche e la dipendenza esiste una relazione circolare. La violenza domestica non è presente solo presso ceti bassi ma anche nelle classi più agiate e presso famiglie di professionisti e acculturati. Di fronte a questi e ad altri atti di violenza nei confronti delle donne, la società deve attivarsi, non solo le istituzioni, ma anche tutte le cittadine e i cittadini consapevoli. Nessun testimone di violenza può essere giustificato se ignora gli eventi e volta lo sguardo da un’altra parte. Ciascuna donna reagisce in modo diverso, ma tutte soffrono della solitudine e dell’indifferenza sociale: spesso non vengono credute, perché il loro partner, fuori della famiglia, è una persona “normale”, insospettabile, perdono le loro amicizie, si sentono sole, piene di dubbi, di vergogna e di sensi di colpa. É importante ascoltare il soggetto di violenza e credere a quello che dice; questo contribuisce a rompere l’isolamento. Non giudicare e dare fiducia; questo contribuisce a ridarle forza e stima di sè. Indirizzare i soggetti di violenza verso un Centro antiviolenza specializzato; dove insieme ad altre persone potrà decidere come uscire dalla violenza e riappropriarsi della propria vita. I figli, che da bambini/e che assistono ad episodi di violenza del padre narcisista verso la madre attraversano un’esperienza traumatica, che depositerà tracce per sempre nella loro esistenza. Può essere ferito/a nel tentativo di proteggere la madre o può essere vittima diretta della violenza. Ma anche quando non viene coinvolto/a direttamente, vive nell’incertezza, nella tensione, nella paura; non capisce che cosa stia accadendo, si sente impotente e spesso pensa di essere la causa della violenza. Anche se non è detto che diventerà un/a adulto/a che esercita o subisce violenza, è dai genitori che impara come muoversi nel mondo, come comportarsi con gli altri: a volte si identifica col padre maltrattante, perché percepito più forte e tende a disprezzare la madre; a volte si assume responsabilità da adulto/a, cercando di proteggere la madre o i fratelli dalle aggressioni. Ogni individuo ha capacità differenti di reazione a questi attacchi sadici mossi dal padre, che invece, dovrebbe indirizzare il desiderio del figlio, così viene tradita la fiducia del minore nell’adulto. Queste violenze porteranno modifiche negative sul suo sviluppo emotivo e cognitivo. Alcuni esprimono rabbia e aggressività: è così che hanno imparato a reagire ai conflitti. Altri si chiudono in se stessi, si isolano e diventano eccessivamente passivi: è così che hanno imparato a evitare le esplosioni di violenza. Hanno problemi di sonno, disturbi dell’alimentazione, difficoltà a scuola. Per gli adolescenti, poi, la conquista dell’autonomia e la capacità di controllare le proprie emozioni diventano estremamente difficili in un contesto di violenza familiare: i ragazzi e le ragazze possono cercare di fuggire dalla situazione e dai problemi con l’uso di alcol e droghe o con matrimoni e gravidanze precoci, o rifiutare la scuola, o comportarsi in modo aggressivo fino alla delinquenza; possono soffrire di ansia e depressione ed arrivare a pensare al suicidio. La violenza domestica, insomma, priva i figli di un ambiente sicuro in cui giocare, crescere e vivere serenamente la propria infanzia e la propria adolescenza. É importante: Ascoltare il bambino o la bambina e credere a ciò che dice: forse è la prima volta che parla di questo terribile segreto. Rassicurarlo/a: quello che succede in casa non è colpa sua. Aiutare e sostenere la madre: questo è spesso un modo efficace per proteggere anche i figli.
L’11,3% delle donne dichiara che la violenza è rivolta anche contro i figli; ma sappiamo che il 90% delle aggressioni subite dalle donne si verificano in presenza dei figli. Il 96% dei maltrattatori sono uomini che appartengono alla cerchia dei famigliari, mariti, conviventi, fidanzati o ex, padri o fratelli, anche per i casi di violenza sessuale. Una recente indagine condotta dall’Associazione “Differenza Donna” di Roma rivela che, nel 90% dei casi, le donne maltrattate lo sono state anche durante la gravidanza. In alcuni casi, la gravidanza è stata la causa scatenante della violenza.
Ogni rapporto affettivo deve fare i conti con il tema del controllo e del potere, sulla propria compagna o compagno, gli abusi sessuali e fisici, economici, la paura e le ansie delle vittime della violenza psicologica il risentimento e i tradimenti. Spesso i bambini sono utilizzati come strumento di ricatto verso il coniuge. Le chiavi stanno nella comprensione del perché accadono certi avvenimenti e creare equilibrio bella vita affettiva, se sei in una relazione di maltrattamento il tuo partner vorrà avere il controllo su di te , capire il suo modus operandi porta alla salvezza. Inoltre bisogna entrare in contatto profondo con la confusione, insicurezza, sentimenti di solitudine, per prendere le distanze da queste emozioni e sensazioni soffocanti. Infine è necessario l’aiuto dei familiari parenti amici, professionisti, persone che aiutino ad uscire dalla solitudine e con cui parlare. Collins uno dei maggiori studiosi della teoria del conflitto, parla di “Forward panic” riguardo la violenza che si esercita in casa, questo si verifica quando una delle due persone in lotta in un rapporto di parità si tira indietro e crolla, allora l’altro è pronto a saltargli addosso. La violenza si è evoluta non dal punto di vista biologico o psicologico ma dal lato istituzionale nel senso che è stata cultura lizzata e inserita all’interno di istituzioni, burocrazie e modi di pensare. Se prima le guerre si svolgevano come scaramucce tra sparuti gruppi di esseri umani ora le guerre sono diventate di massa e hanno durate di anni. Inoltre, i segni di una pratica di cittadinanza femminile stanno permettendo di concettualizzare la questione politica e, con essa, la questione stessa del potere, che ne è alla base. Se la politica, come diceva Hanna Harendt, “non è amministrazione di interessi, ma spazio della partecipazione e dell’essere insieme, il potere non può essere inteso più come distribuzione, ma come attivazione delle risorse.” Si tratta di cambiare segni, significati e significati, simboli ed ideologie codici, solidificati in desueti parametri e scoprire nuove definizioni e nuove parole, ridando senso anche ad antiche modalità di agire. Ironia, obbedienza, pazienza, attesa, tessitura, ascolto, si amplificano di significati e si diffondono come espressioni e pratiche ritenute efficaci.
La ricostruzione della violenza domestica è particolarmente difficoltosa, perché bisogna fare riferimento solo alle interviste fondata sul racconto del singolo. La violenza domestica richiama le situazioni militari o di polizia, del più forte contro il più debole, più i poliziotti sono anziani più sono violenti avendo appreso tattiche sempre più aggressive di immobilizzazione del/la partner.
L’esistenza di uomini maltrattati è reale quanto lo è l’esistenza di donne maltrattate. Entrambi i sessi hanno possibilità di essere vittime di una “violenza coniugale. Nelle ricerche del sociologo Michael Johnson ad essere violento risulta quasi sempre un uomo. In questi contesti, molte delle violenze utilizzate dalle donne invece sono rapportabili anche a una difesa di se stesse e di eventuali figli. Se nel rapporto non emerge la figura del dominatore, la violenza ha luogo in discussioni che degenerano e, in questi casi, gli uomini sembrano essere solo leggermente più inclini all’utilizzo della forza. “Dominatori/dominati” e “persone litigiose” sono quindi due categorie distinte con peculiarità proprie, quando parliamo di violenza di genere. Nei rapporti litigiosi c’è un rapporto più paritario e meno asimmetrico. Ad arrivare ai centri rifugio e a denunciare le violenze sono donne in rapporti con uomini dominanti. Tra ex partner inoltre sono molti di più gli uomini che arrivano ad avere comportamenti violenti e persecutori.
Pinker afferma che, per quanto riguarda la litigiosità che può sfociare in aggressività, all’interno delle coppie, le cose non sono cambiate molto probabilmente nel corso degli anni, ma diverso è il discorso per gli atti di violenza considerati vere e proprie aggressioni fisiche che sono diminuite.
Come afferma l’autore “il femminismo ha fatto molto bene agli uomini”. Dopo la nascita e l’affermarsi dei movimenti delle donne le possibilità che un uomo venga ucciso dalla sua partner o ex partner sono diminuite di sei volte senza bisogno che ci fosse alcuna campagna per contrastare la violenza sugli uomini. La probabilità che una donna arrivi ad ammazzare un uomo perché non ha altra difesa è diventata minore con l’istituirsi di centri antiviolenza e possibilità di tutele giuridiche che prima non c’erano. La violenza verso le donne ha maggior rilevanza nella società, perché moltissimi sono gli episodi che lo testimoniano, d’altro canto anche se in maniera meno rilevante sono presenti casi di violenza femminile verso il partner maschile che fatica a prendere coscienza della usa parte femminile mentre la donna ha acquisito la sua parte maschile.
Luca Magrini Addetto Ufficio Stampa